La direttiva (UE) 2023/970 introduce un nuovo modello di trasparenza retributiva che dovrà essere recepito dagli Stati membri, Italia compresa, entro il 7 giugno 2026.
I tempi per adeguarsi ci sono, ma il percorso richiede attenzione: le aziende dovranno rivedere prassi, processi e, in molti casi, il modo stesso di intendere la gestione delle risorse umane.
Perché è importante parlarne ora
La trasparenza salariale non è solo un adempimento normativo, ma una leva di governance, da inserire in una più ampia strategia di gestione moderna del personale.
È anche una delle componenti sociali delle politiche ESG, legata a equità, inclusione, reputazione e sostenibilità organizzativCosa prevede la direttiva
Prima dell’assunzione
• Obbligo di indicare fasce retributive negli annunci di lavoro.
• Divieto di chiedere la retribuzione attuale o passata ai candidati.
Durante il rapporto di lavoro
• Criteri di retribuzione chiari, oggettivi e neutri rispetto al genere.
• Diritto del lavoratore a conoscere la retribuzione media di chi svolge mansioni analoghe.
• Necessità di sistemi interni che permettano di valutare il valore comparabile dei ruoli.
Obblighi di rendicontazione (gender pay gap):
- Per aziende con oltre 250 dipendenti, dal 2027 e ogni anno
- Per aziende tra 150 e 249 dipendenti, dal 2027 ogni 3 anni con scadenze più dilazionate
- Per aziende tra i 100 e i 149 dipendenti, entro il 7 giugno 2031 e poi ogni tre anni.
- Per aziende con meno di 100 dipendenti potranno inviare le informazioni su base volontaria
- Focus su divari retributivi, presenza nei quartili salariali, componenti variabili.
Un cambio di mentalità organizzativa
Il punto critico non è solo la compliance: la sfida sarà definire cosa si intende per “lavoro di pari valore”. Servirà:
• Un’analisi delle competenze, responsabilità e condizioni di lavoro;
• Un confronto con i livelli di inquadramentodei CCNL, spesso non sufficienti;
• Un allineamento tra valutazione giuridica e organizzativa.
Sanzioni e rischio reputazionale
Oltre alle sanzioni amministrative, la direttiva introduce:
• Inversione dell’onere della provain caso di discriminazione retributiva;
• Possibili richieste giudiziarie di divulgazione documentale completa;
• Risarcimenti anche per danni immateriali e opportunità perse.
Come prepararsi
Anche se l’obbligo formale scatterà solo tra un anno e mezzo, è consigliabile iniziare fin da ora a riflettere sull’adeguamento. Le imprese più lungimiranti stanno già valutando i propri sistemi retributivi attraverso criteri oggettivi e trasparenti, capaci di resistere a verifiche interne ed esterne.
Un primo passo utile è quello di mappare i ruoli aziendali per individuare eventuali situazioni di squilibrio o disparità non giustificate. Parallelamente, diventa sempre più strategico integrare il tema della parità retributiva all’interno delle politiche ESG, come elemento concreto di responsabilità sociale e sostenibilità del modello organizzativo.
Essere pronti significa non solo prevenire rischi normativi e reputazionali, ma anche rafforzare la credibilità dell’impresa, attrarre talenti, migliorare il clima aziendale e dimostrare un reale impegno verso modelli di lavoro equi e sostenibili.
La direttiva UE ci indica con chiarezza la direzione verso cui sta andando il mercato del lavoro. Anticiparne gli effetti non è solo una scelta prudente, ma una vera occasione per costruire valore nel tempo.